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DON RAFFAELE MANGANO

L'arte e in particolare l'espressione pittorica da quando ha incontrato il Cristianesimo, lo ha sposato lungo la sua storia... se è vero infatti che "raffigurare" vuol dire fermare le emozioni e fissarle su una tela o su una parete, è altrettanto vero che l'arte è un mezzo privilegiato di elevazione dell'animo che porta a Dio, al Totalmente Altro; l'arte e dunque la pittura davvero è un itinerarium cordis (percorso del cuore...) in quel Dio così ineffabile da lasciarsi contemplare attraverso l'immagine.
Sono lieto di presentare attraverso queste poche righe, l'itinerarium dell'artista Pinella Giuliano grazie alla quale la chiesa parrocchiale Mater Misericordiae in Palermo è arricchita di un pregevole quadro della "Misericordia" donato da lei stessa in occasione del XXXIII anniversario della dedicazione.
La tavola della "Misericordia" è una lettura audace e nello stesso tempo affascinante di quell'icona biblica che meglio sottolinea quella Carità che viene da Dio: in un mondo distratto e confuso tipico della Babele dell'indifferenza e dell'egoismo, soltanto chi ridiventa bambino accede al mistero del regno dei cieli, soltanto il bambino dentro di noi tende la mano in soccorso del povero e del sofferente. Allora Cristo si rende presente e lo sarà nella vita di coloro che trasfigureranno il loro quotidiano facendo opere di misericordia verso gli ultimi e gli esclusi della storia.
La tavola della "Misericordia" , che con il fascino tipico dei murales latino-americani sembra mirabilmente sposare l'essenzialità dell'architettura della chiesa parrocchiale, costituisce un tassello del mosaico che si comporrà pian piano davanti ai vostri occhi guardando questa esposizione, la quale non mancherà di offrire ai cultori e ai visitatori innumerevoli suggestioni ed emozioni. La comunità di "Mater Misericordiae" in Palermo ringrazia di vero cuore Pinella Giuliano che con grande forza di spirito ha saputo non solo misurarsi con le parole della Scrittura attraverso tela e colori ma soprattutto è riuscita ad afferrare un raggio di questa luce e ce l'ha donata con tutta se stessa.


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SERGIO PENSATO
Scrittore e poeta

L'arte di Pinella Giuliano procede dalla tradizione colta: perché basa sulla tecnica e non intende sconvolgerla, nel mentre che incrocia volentieri episodi salienti nella storia della pittura. La sua personalità si rivela, piuttosto che nell'abbandono dell'artista ad una ispirazione improvvisa, per la padronanza di stili reciprocamente diversi come possono esserlo pop-art e surrealismo, che la pittrice interpreta intonando di volta in volta i moduli espressivi alla voce interiore; la volontà così è fuori dal quadro, e conduce la forma al mondo rarefatto delle idee. Un gusto raffinato per la citazione e lo scherzo, l'intelligenza gentile contornano il vissuto dell'artista: cammino di ricerca, ma con lo spirito dell'Illuminista che scorge nella complessità del mondo il disegno di un sublime architetto; ne risulta una fede positiva e vitale, molto distante dalla religione alla quale siamo educati, tanto iconograficamente quanto per i temi. Infatti non ci sono dubbio e travaglio che debbano riscattarsi con l'ascesi; nemmeno una rivelazione decisiva. Il mistero per Giuliano è la natura che si compie incessantemente intorno a noi, il sacro è una dimensione arcana e nondimeno sensuale dell'amore. Una vena di panteismo attraverso tutta la sua produzione ci riporta alla classicità, ai Greci soprattutto ed al mito delle nozze di Cadmo e Armonia, un momento di assoluta pienezza perché l'umano attinge il divino (che la leggenda enfatizza facendo partecipare al banchetto l'intero Olimpo) poi fissato dal sentimento in toni elegiaci, quando sopraggiunge la consapevolezza del distacco ineluttabile, l'essere un individuo. Parafrasando il cosiddetto "Vangelo degli Esseni" recitiamo: lo vi dico in verità che accarezzando i fili d'erba entra in voi l'Angelo del potere e vibrerà in voi il Sacro Torrente della vita... Il fondo della tela, quella parte del quadro coperta dalla pittura e che talvolta rivela all'indagine le prime intenzioni dell'artista nel disegno preparatorio, è così steso: l'Eros come angelo, riflesso agente sul mondo per la luce che porta. Siamo effettivamente lontani dalla carnalità di Caravaggio che sprofonda nell'inconscio e lascia un'eco di imbarazzo, dal godimento puro di Matisse.
Qui una pittura che pur abbondando di nudo non lo relaziona affatto con l'emozione.
L'incontro della sensibilità testé descritta con la liturgia realizza un clima canonico e disteso. È una pace apparente. Giuliano trascende il mondo degli uomini per la responsabilità che essi hanno nel disegno divino; contempla il dolore con la fiducia che tutte le vicende si sciolgono nel Bene.
È altrettanto evidente la formazione accademica, mancando quella sottile asintonia, la rottura della forma che fa realmente nuova un'opera d'arte; qualcosa ci è fin troppo familiare e le immagini ci ritornano all'occhio rassicuranti. Non c'è scandalo. Ma conversando con l'opera, ci accorgiamo che l'occhio della pittrice è crudo come quello del bambino, che il re è sempre nudo, per quando ami paludarsi nelle convenzioni; allora apprezziamo un secondo livello dell'opera di Giuliano, la Commedia. Le figure rappresentate nei quadri sono maschere. Anche quando non sono manichini privi di lineamenti, assumono
un valore per il contesto simbolico in cui sono inserite. Però non fanno la commedia nel senso comune, che fa dipendere l'azione dal gesto. La vicenda scenica si rappresenta sempre nello spazio e nel tempo, per completarsi nella coscienza dello spettatore. I personaggi di Giuliano invece non nutrono affetti. I quadri sono immersi in una dimensione atemporale. Non c'è il trasporto della passione... letteralmente trasporto fisico, trasferimento di energia e accumulo in nuove forme: no, le figure di Giuliano si contengono perfettamente. Non ci sono nemmeno relazioni, cioè incroci di mondi e individui.
Quanto più la Commedia umana le lascia indifferenti, tanto più esse svalutano per un senso compiuto che le conduce oltre la forma concreta del quadro.
E inevitabile allora accostare Giuliano a Magritte di "Ceci nest pas une pipe". Anche Giuliano usa il paradosso per saggiare la realtà. Il grande belga intende il rapporto occhio-natura e lo universalizza; la pittrice catanese si districa col suo stesso metodo nella rete sociale, che è l'altra faccia di quella realtà partecipata dalla mente.
L'attuale società è inflazionata dall'immagine; pertanto è diffìcile che un artista grafico si fissi nella memoria. Pinella Giuliano apre la sua visione a una messe di stimoli e idee che provengono dal mondo, e ce la rende col personale sentimento della vita. Una buona tecnica e un sano cromatismo la sorreggono nella varietà dell'espressione; ci sono accenti futuristi, icone pop, bagliori psichedelici, fissità iperrealiste. Giuliano come noi assimila il bombardamento quotidiano: guarda la televisione, la pubblicità, legge i giornali e fa la spesa al supermercato, ha studiato: nel suo crogiolo quel caos si ricompone in una realtà antesignana, che sembra precorrere lo stesso mito. Mai in prima persona, però: la risorsa di Giuliano è l'ironia.
La mostra è parziale, dovendo presentare una personalità poliedrica in una circostanza importante e precisa: viene esposto ai fedeli nella chiesa della Misericordia in Palermo il grande olio che raffigura le sette opere di misericordia. Valutiamo l'assunto sin qui riferito all'artista confrontandolo al quadro. La buona tecnica di Pinella ha retto alla prova materiale, i problemi sorti dalla progettazione di una vasta pittura sono stati affrontati e risolti. L'olio è disteso nella pennellata larga e poco materica, a favore di una uniforme campitura del colore; Giuliano sembra riprendere i murales latino-americani anche nella tonalità calda dei colori.
Nella folla a passeggio davanti una chiesa, un negro ed una zingarella ricevono l'elemosina dai bambini. Cristo invisibile è accanto ai bambini immerso nell'indifferenza degli adulti, e ce Lo indica a malapena un raggio che discende dal cielo. Il Suo trono al momento è vuoto; Egli è tra gli uomini, ai quali la fede soltanto può manifestarLo. Dietro la scena, la torre di babele è rovinata ed ancora fumante; in attesa che gli uomini raccolgano la parola santissima, che possa riunirli come un sol cuore ed una mente. L'angelo che porge una corona al povero, elevandolo al regno di Dio, è anch'egli un bambino.
Le dimensioni delle figure non vogliono schiacciare con una prospettiva monumentale la folla dei fedeli, atterrendoli: Giuliano vuole che la pala comunichi piuttosto intimità con il sacro e li rassicuri. La luce è uniforme e chiara. Forse è l'opera'più genuinamente popolare della pittrice.
L'ombra di questa grande opera è un quadro di normali dimensioni, anch'esso di soggetto sacro. Molto diverso nellispirazione, realizza la conclusione di un ciclo che mi accingo ad esporre, quello dei manichini. Nelle "Sette opere di Misericordia" Giuliano cita la grande pittura con l'immagine della torre di Babele, che potrebbe essere dipinta da Bosch come da qualsiasi grande del passato; nel "Battesimo Pinella cita Piero della Francesca. Ardita e sincera, a partire dall'aver preso a termine di paragone un genio tanto mondano; perché la devozione in Piero della Francesca è occasionale alla voglia di sperimentare la propria arte. Ma Giuliano sostituisce al Cristo che si battezza un manichino: è il sacro che conta, comunque sia circostanziato; e le fanciulle, che in Piero della Francesca sembrano assorte nella magnificenza del proprio rango, in questa opera invece regrediscono a bimbe giocose. Ancora un richiamo intenerito alla condizione dell'innocenza.
Accennavo ai manichini. A partire dal Novecento sono di casa in pittura. Forma archetipica, anticipazione inquietante dell'uomo, perché privi di autoriferimento, personalità. La pittura moderna ne fa un uso ambivalente, a seconda che essa apprezzi la ratio sottile della geometria che percorre come una trama il mondo; o che altrimenti ne faccia le muse inquietanti della cosiddetta pittura metafisica. Giuliano vi costruisce attorno una sorta di Teatro dell'assurdo; una anticommedia in cui recitano situazioni paradossali richiamando al contempo la realtà. O meglio, ponendo di volta in volta con urgenza la questione di cosa sia in effetti la realtà. La risposta per Giuliano è certamente destinata ad essere incompleta, perché proietta su un piano metafisico e però al tempo stessa rassicura con l'abbandono nella fede. Giuliano è maliziosa, nel disseminare lungo la sua produzione i capitoli delle sue Confessioni: già dalla "Madonna col bambino" riprende Raffaello e pone in prospettiva sul capo del Cristo il monito della fine cui è predestinato. Il manichino disegna con la sua ombra le lancette di un orologio alla quindicesima ora.
Manichini che ricalcano la Commedia umana sarcasticamente, rimandandoci l'idea che in qualche modo anche noi liberi saremmo marionette. E che il significato riposa oltre le semplici apparenze.
Intuisco che la vicenda dei manichini sia un'ispirazione quasi portata a termine. Giuliano ha licenziato un "Omaggio a De Chirico" che completa storicamente la ricerca. Una figura maschile è sdraiata tra figure che richiamano quelle di De Chirico; ma la tensione è sfumata, le muse non inquietano più.
Altrove, la tensione ritorna carne e sangue. Indico opere intense, che sembrano precorrere un nuovo ciclo: "Vento fresco per la sposa di giugno"; "(1 x -1 = -1)? "; "Presenza", per dire di alcune. Ne parleremo certamente in altre occasioni.
La mostra si apre con una immagine che dipinge Pinella Giuliano meglio di quanto abbia fatto io con le mie parole. Una ricca natura morta su una tovaglia imbandita contro l'azzurro intenso del cielo: a margine della festa, da un estremo della tavola una bella mano femminile carpisce un frutto succoso...

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VIRGILIO ANASTASI
Palermo, 4 Dicembre 2004

Il lavoro d'artista di Pinella Giuliano meriterebbe un'analisi attenta e precisa alla luce del suo complicato percorso decennale.
Per uno strano gioco del destino Pinella Giuliano ha avuto il privilegio di "mostrarsi" più volte in Svizzera e in Germania, dove vanta una nutrita schiera di estimatori e collezionisti che. da anni, seguono il suo lavoro.
Per quel che mi è stato dato, nel tempo, di osservare nel suo studio posso testimoniare che l'Artista, al cospetto di una tela bianca, difficilmente si è lasciata trasportare dalla sola fantasia, ma ha sempre privilegiato interrogarsi, dando spazio alle inquietudini del nostro tempo. Arte come vita e come testimonianza, quasi un libro aperto nella storia del proprio tempo (Clone), criticando con esplicita sofferenza tutta la personale contrarietà e la condanna senza ripensamenti di quei fenomeni che vorrebbero condizionare e sconvolgere la natura e il mondo.
Una pittura, quella di Pinella Giuliano, che si fa scomoda perché avanza inquietanti condanne.
Nel panorama dell'arte attuale, aperto e pluralista, è facile trovare una collocazione al lavoro di Pinella Giuliano. Con padronanza tecnica ella spazia dalla pittura "colta" al "surreale", ma ciò che la caratterizza certamente è la volontà di comunicare il suo mondo esistenziale, la sua personale attrazione ai temi cari al suo cuore, che, attraverso la tela, si materializzano e si mostrano nella complessità di un travaglio tutto interiore. Per questo motivo i suoi figli (Iniziati) diventano modelli e attori nei suoi quadri: a loro, prima che agli altri, è rivolto il canto del suo cuore.
Bene ha fatto Pinella Giuliano ad interrogarsi anche sull'Arte Sacra. "La Misericordia", da lei eseguita per la Parrocchia Matcr Misericordiae di Palermo, rifugge dagli stilemi classici, ma è testimonianza viva d'una modernità riverente e colma di valori umani e cristiani e. ancora una volta.
conferma la volontà dell'Artista che frena la fantasia e privilegia le scelte dell'anima.
Così operando Pinella Giuliano ha creato un suo spazio propositivo in un'anclave magico che si allontana dal mercato spicciolo, divenendo sempre più protagonista tra coloro che rigorosamente richiedono all'opera, oltre alla "bellezza", un messaggio che arrivi diretto al cuore ed alla mente.


 

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Aldo Motta
Giornalista e scrittore

Il simbolismo, in pittura ma anche nel vasto universo dell'Arte, ha la sua ragione d'essere se ben supportata da una coerente ricostruzione del nascosto che ne qualifichi il significato e la stesura. È il riporto alle dimensioni del racconto esplicito. Nelle tele di Pinella Giuliano, espressasi in origine sotto i grovigli segnici e coloristici della tradizione informale, c'è il bisogno disperato di uscire dalla stretta di una figurazione generica, di ottimistico anche se dilacerato espressionismo in cui restano chiusi tanti artisti formatisi al tempo delle dogmatiche contrapposizioni fra realismo ed astrattismo.
Spogliatasi dalle scorie delle accese e ripetitive costruzioni astratte, acquisendo una immagine critica al limite con la tensione poetica, la Giuliano approda nella sua "ragion visionaria", in una dimensione eminentemente simbolica, del tutto atemporale, non definibile attraverso determinazioni di luogo o di situazione. È questo il segno che l'artista ha assunto superando il rischio della contraddizione e della arrogante banalità, un rischio tutto moderno, ove stagna la pacata indifferenza o acritica accettazione degli schemi fissi, narcotizzati, vacui del comportamento sociale, quotidiano. Della quotidianità, invece, la Giuliano propone la più radicale negazione immettendo stilemi e segnali di immagini enigmatiche, simboli provocatoriamente allusivi, situazioni vissute nel Koma dei sogni e frequentabili solo per virtù d'arte.
Di qui il recupero di una nuova, aperta dimensione dell'Universale, visto però attraverso la disgregante ironia del simbolo dove tutto diventa rituale collettivo che si svolge in qualche mitico angolo della nostra mente, ancora magicamente inesplorata, o in incombenti memorie di immagini ormai incredute, afferrabili appunto nella loro simbolica icasticità.
Nelle opere visionate, tali simboli si dichiarano tali senza infingimenti, e senza illusioni che non siano quelle dell'arte e dei suoi rituali. E se i richiami sono palesi alla grande, inaccessibile, mostruosa commedia umana, essi si esplicano e si estrinsecano nelle dimensioni teatrali, appunto, del rito e dell'emblema, della maschera e dell'irrealtà che non sono né figurali né astratte, ma soltanto ambigue e illusorie, così come ambiguo e illusorio non può che essere il linguaggio irretito dal fascino delle molteplici verità e delle loro infinite contraddizioni.
Pittura simbolisti, quella della Giuliano, fortunatamente non strapazzata dalla pigrizia dell'ovvietà, ma costruita e impreziosita da una elegante ed ordinata architettura, senza aggrovigli amenti per sottrarre l'immagine al peso lieve dei sogni, anche di quelli psicologici; una pittura, come detto, che riguarda una irrealtà che si struttura fortemente, che si costruisce per virtù d'arte nel mondo in cui in "reale", o ciò che così definiamo, si dissolve sotto l'urto di una fantasia plastica che nega il plasticismo fantastico del tanto mal compreso ed equivocato surrealismo italiano.

 

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Il Paradigma del Possibile

Giuseppina Radice Docente all'Accademia di Belle Arti di Catania
Critico

Sprofondare quel tanto che basta per recuperare il tesoro delle immagini; srealizzare per ricucire (forse) le antinomie della psiche in una condizione esistenziale all'insegna della totalità. A mio parere il phantasieren di Pinella Giuliano si svolge tra questi due punti:
dalla dominante personale che è la sua predisposizione all'abbandono favoloso ed al libero gioco del sogno e della fantasia, all'ispirazione (peculiarità della categoria del Romantico ad una totalità, a quella sorta di umanesimo plenario di cui parla Durand nella sua opera "Le strutture dell'immaginario".
Certo il mondo che ci mette di fronte non è un mondo quotidiano: sembra anzi che il suo vedere cominci dove finisce ogni possibilità di verifica obiettiva. Ma, la Giuliano inquadra il suo immaginario in un'ottica apparentemente reale (come non pensare a Max Klinger o a Kafka): inserisce in una azione scenica le immagini della sua mitologia personale,immagini orchestrate già nel profondo e definite con chiarezza e solidità, che agiscono con estrema naturalezza colte in un momento di sospensione dell'azione teatrale: è accaduto qualcosa, sta per accaderne un'altra.
Non sembra essere un immaginario che adempie ad una funzione sostitutiva secondo lo stereotipo occidentale o l'accezione di Freud; piuttosto la riorganizzazione dinamica del retaggio ancestrale, culturale e più specificatamente visivo,secondo un principio che, non rifacendosi ai parametri del pensiero discorsivo, non gerarchizza: rende ambigue le relazioni tra elementi che connette.
Nietzsche parla dell'eredità culturale che pesa sull'individuo europeo, Jung parla della memoria della razza. Sembra proprio che la Giuliano, dall'esplorazione di questo mondo profondo, tragga e ricrei il (suo) "Paradigma del (suo) Possibile" in una pittura lungamente elaborata dal punto di vista tecnico per poter rendere al meglio le immagini che invece affiorano alla sua mente con immediatezza.
C'è una pittura impregnata di desiderio, di inquietudine, di curiosità, di nostalgia di qualcosa che non esiste più ma anche di un senso di presagio.
Sicuramente è una pittura enigmatica. Ed è proprio l'enigma che sostanzia le metafore sottolineandone l'ambiguità, la loro polisemia;
ma che, nello stesso tempo, sospende qualsiasi sensazione allarmante,trasformando l'inquietudine in attesa. Né la precisazione o il riconoscimento di forme e di oggetti serve a rivelare: piuttosto serve a forviare le piste.

Così l'intrico metaforico che si presta indubbiamente ad un approccio diversificato, non poggiando sui parametri di sequenzialità e di rettilineità,
rimane un fatto privato.
D'altronde come (e perchè) mettere a nudo il passaggio della forza alla forma, o per meglio dire, dall'immagine a ciò che la motiva?
E indispensabile per una giusta fruizione estetica?
In una produzione basata sulla metafora il significato non può coincidere col significante: è semmai il gioco combinatorio, che in questo caso si fonda più sulla sorpresa che sulla costanza, ad aprire ad una significazione stratificata.

" La pittura, non domandate come è fatta ..."
scrive Savinio, "... la pittura ama sé stessa".
E quella specie di narcisismo dell'arte che Savinio esemplifica
nella figura di Caterino, il quale, giunto al grado estremo di
isolamento, uccise Caterino.
"Se questo rarissimo caso di narcisismo e di salvaguardia di sé stesso
si conclude poi in un volgare suicidio non fu colpa di Caterino
ma della natura, la quale nella sua rozzezza non contempla
anche la pratica corrispondente a talune oscurissime e squisite
immaginazioni dell'uomo".
(A. Savinio: Morte dell'ingegnere)


 

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